Almeno una volta, nella nostra vita, ci saremo sicuramente posti questa domanda: “Chissà che aspetto avevano le persone prima di noi”. Fortunatamente, grazie alle moderne tecnologie, è sempre più semplice rispondere a questi quesiti.
Quello che forse non ci siamo mai domandati però è: “Chi ha abitato qui prima di noi?”.
Ebbene, mettetevi comodi perché andremo a conoscere una delle tribù più antiche che hanno abitato la nostra amata Puglia prima di noi, una popolazione magica ancora avvolta nel mistero: I Dauni.
Chi e dove?
Sfortunatamente, essendo stato un popolo privo di una tradizione scritta, dei Dauni a tutt’oggi si sa pochissimo. Anche dei loro insediamenti si conosce solo l’organizzazione in maniera piuttosto vaga e non si sa nulla del modo in cui sfruttavano il terreno.
Sappiamo per certo però che la Daunia era un distretto dell’Italia meridionale che costituiva la Iapigia, dal quale (udite, udite!) prende il nome l’attuale Puglia e che comprendeva l’intero Tavoliere, il promontorio del Gargano e gli immensi boschi dauni.
Siamo nell‘età del Bronzo e del Ferro e i primi insediamenti dauni sono pressoché modesti e funzionali, semplici capanne tonde dal tetto di paglia.
Solo più avanti si svilupperanno le prime vere città, con l’arrivo dei romani.
Ma quali sono gli elementi che davvero catturano l’attenzione di questo misterioso popolo? Come già detto in precedenza, di loro si sa davvero poco, ma le splendide sepolture riportate alla luce hanno permesso al mondo di fare una scoperta strabiliante: i Dauni erano tatuati.
Storia per immagini
Le statue stele Daunie, presenti lungo tutta la fascia costiera foggiana, costituivano una lunga tradizione di scultura su pietra. Trovate spesso sul terreno all’interno di campi coltivati, le lastre riportano un vero e proprio linguaggio per immagini, attraverso ricche decorazioni e incisioni e si dividevano spesso in maschili e femminili.
Una cosa però salta subito all’occhio dal ritrovamento delle statue stele e cioè che le donne erano la figura centrale in questa società arcaica e vivevano alla pari con i loro valorosi uomini.
Esse erano sessualmente libere, abituate a guidare il loro popolo in battaglia e ad occuparsi anche delle mansioni ritenute più “mascoline”, come tosare le pecore, riparare il tetto e occuparsi del bestiame. Nelle incisioni ritrovate infatti, gli uomini sono quasi sempre inchinati, rappresentati più piccoli e in maniera meno dettagliata.
Le numerose sepolture femminili hanno inoltre portato alla luce oggetti meravigliosi: è il caso infatti delle tombe di Canosa e Minervino Murge, dove sono stati rinvenuti servizi di ceramica, vasi in bronzo, asce e coltelli.
Sembra quindi che queste donne, oltre ad essere eccezionali guerriere, fossero anche le responsabili dell’accoglienza e dei banchetti, momenti cruciali della vita di una tribù.
E pare che proprio alcune di loro facessero parte di un alto rango sacerdotale.
Già, perché mentre le teste scolpite degli uomini sono tonde, quelle delle donne presentano estremità a punta, come lunghi cappelli conici, ed è impossibile non notare le loro mani e gli avambracci elegantemente tatuati con motivi geometrici.
Una tradizione antichissima
Per tanto tempo si è creduto si trattasse di guanti di pizzo, ma l’uso di questi accessori non venne documentato prima del XIX secolo. Pertanto, le decorazioni delle signore si rivelano essere segni applicati direttamente sulla pelle che rappresentavano un’usanza comune delle donne della Daunia.
È una tradizione antichissima che vede come protagoniste non solo le sacerdotesse, ma anche e soprattutto le tessitrici, che si ritrovavano a lavorare sui bellissimi abiti cerimoniali che prevedevano gli stessi disegni ( costituiti da linee rette, losanghe e rettangoli ) che vennero poi ritrovati sotto forma di tatuaggi sui corpi delle mummie.
Composizioni di simboli con la funzione di veri e propri amuleti, talmente efficaci da essere diffusi ancora oggi in Algeria e in gran parte dei Balcani.
Riti sciamanici ed iniziatici
I riti religiosi dei Dauni sono ancora avvolti nel mistero, ma non mancano di certo supposizioni molto attendibili, come quella che vede il papavero da oppio protagonista di molti riti incisi su pietra: donne riccamente addobbate in abiti sontuosi, offrono ad alcuni uomini dei fiori stranamente simili ai papaveri.
Sembra infatti che in ambiente greco, il papavero sonnifero fosse uno degli attributi di Demetra, la dea nera della terra ( riconosciuta in seguito anche nella Madonna di Loreto).
In altre incisioni si notano alcune scene molto singolari: le stesse donne tatuate sono intente a incedere in processione con vasi sul capo o ad offrire bevande sacre brandendo uno scettro.
Si può facilmente dedurre allora, che queste sacerdotesse, fossero a tutti gli effetti delle figure sciamaniche in contatto con le dee, una delle quali, la Dea Drago, è rappresentata in un rosone di una chiesa longobarda a Monte Sant’Angelo, in provincia di Foggia, dove furono rinvenute gran parte delle statue stele e numerose sepolture daunie.
Fortunatamente i ritrovamenti sono stati sufficienti a ricostruire alcuni degli aspetti più affascinanti e misteriosi di questa popolazione, prima che l’assimilazione culturale da parte dei romani ne cancellasse qualsiasi traccia, lasciando il Tavoliere una landa desolata.
Là dove è arrivata la distruzione, i tatuaggi hanno conservato una memoria collettiva da custodire gelosamente e dalla quale prendere esempio.